GIACOMO RUN
THE WALLA
BIO

BELLEZZA E BIODIVERSITA’
L’arte urbana porta di per sé un cambiamento, un processo di evoluzione legato ad un luogo preciso aperto alla partecipazione del pubblico. Così i murales tendono a sviluppare temi che divengono spunti di riflessione per un’intera collettività, stimoli aperti al confronto perché, come ha constatato Daniel Buren, “nessuna opera d’arte è autonoma rispetto allo spazio per la quale è presentata”. Il contesto, pertanto, costituisce un valore aggiunto per comprendere la trasformazione dello spazio e per rileggerlo come un luogo saturo di messaggi e di immagini sovrapposte. Pur nascendo in strada, la street art è legata a doppio
filo con il paesaggio urbano, è un elemento strutturante fondamentale che interpreta lo spazio/tempo in modo innovativo e coinvolgente, secondo una concezione di cultura urbana rigenerante. Il linguaggio figurativo della street art, nel suo approccio rivoluzionario ha perso un po’ quel carattere ribelle ed illegale
del passato, è diventato una nuova forma di espressione e mediazione culturale, comprensibile a chiunque, a qualsiasi livello. Non è più un’arte di nicchia, destinata ad un pubblico di intenditori, è un fenomeno che distribuisce immagini ed eventi alla portata di tutti, senza differenze, stravolgendo il paradigma di arte assoluta che era stato un punto indiscutibile per un tempo inenarrabile. Le immagini della street art non negano la realtà, attestano un passaggio disinibito ad una forma-presenza legata alla società contemporanea, che fagocita in modo compulsivo informazioni ed effigi, annullando di fatto le differenze tra pubblico ed artista. Lo street artist consegna l’opera alla comunità e la fruizione di massa ne determina l’identità narrativa. Giacomo Run si è comportato in questo modo con l’Istituto agrario: ha “vestito” la parete d’ingresso con un tripudio di elementi naturali che dialogano tra di loro, in perfetta simbiosi con i personaggi. Run ha concepito la metamorfosi tra uomo e natura come una vera e propria rigenerazione, nella convinzione che tutto nasce dalla natura e tutto ritorna ad essa, in un processo esistenziale interminabile. Foglie, fiori, funghi fanno parte di un unico, grande ecosistema che deve essere preservato, perché è fonte di “protezione” e di vita per l’uomo stesso. La natura offre i suoi doni, le mani si allungano per raccoglierli, ma anche per segnalarne la presenza e fare in modo che essa venga salvaguardata e conservata nella sua integrità. Il dialogo è significativo e si struttura come un momento di tutela della biodiversità attraverso tutte le interferenze ed interazioni che avvengono a livello comunicativo tra le immagini. Le forme naturali e quelle umane si fondono e si confondono nell’esuberanza dei toni verdi
contrapposti tra di loro ad esaltare la complessità della natura e dell’esistenza. Si tratta di una giungla o di un orto? Sicuramente è uno spazio verde che accoglie e protegge, che rimarca, se mai ve ne fosse bisogno, che la Natura legittima la diversità, dà certezza al divenire, al mutamento e mette in relazione ogni essere vivente. L’artista ha utilizzato l’interconnessione tra piani per dare profondità e tridimensionalità alle immagini; funghi, fiori, foglie, volti, si uniscono in un flusso dinamico, acceso dai bagliori luminosi di rossi, gialli, viola e azzurri, in un insieme poliforme di pieni e di vuoti che costruiscono lo spazio dell’opera.
L’equilibrio armonioso viene spezzato dalla presenza delle coccinelle, simboli per eccellenza dell’agricoltura biologica, emblemi essenziali dell’intellettualità del progetto e dell’emotività che sottende l’opera, perfettamente coesa con il contesto. L’insieme che ne deriva è una smisurata operazione estetica, dall’enorme valore semantico che pone l’accento, in modo disincantato, su orizzonti spazio-temporali sconfinati, nei quali non esiste distinzione tra soggetto e sfondo e tutto diviene un’unica, avvincente immagine, nella quale è possibile specchiarsi, emozionarsi, identificarsi.